BOSTON: PEACE ON MIND.

Anni settanta, Rock

Adesso, se ti senti un po’ triste per le quote che hai pagato

il futuro arriva troppo lento.

E anche se vuoi scappare, in qualche modo sei obbligato a restare,

e non ti decidi che strada prendere.

Capisco le incertezze

ma non mi importa se le lascio alle spalle.

La gente passa la vita a competere tra loro.

Tutto ciò che voglio è la pace nella mente.

Ora stai guadagnando i vertici della società (nel lavoro);

spero non occorra troppo tempo.

Ma vedi, verrà il giorno in cui non importerà a nessuno,

verrà il giorno in cui scenderai i gradini.

Tieni gli occhi fissi in avanti

ora tutti hanno ottenuto l’aiuto che gli serviva.

Non significa molto per me.

Lì fuori, ci sono tanti che credono di “vivere”;

non so dire io chi dovrebbero essere.

Capisco le incertezze

ma non mi importa se le lascio alle spalle.

La gente passa la vita a competere tra loro.

Tutto ciò che voglio è la pace nella mente.

Tieni gli occhi fissi in avanti.

Brad Delp, l’indimenticata voce dei Boston che nel 2007 pose tragicamente fine alla sua vita facendo saltare in aria la sua casa con il gas a seguito di lunghi anni di depressione, amava più di tutti gli altri questo pezzo, la seconda traccia del loro primo LP del 1976, con cui batterono molti record. Perchè in queste parole c’è la classica dicotomia tra una vita di esteriorità, di apparenze, di continui successi lavorativi,  e un’esistenza quasi zen (che, detto tra noi, stona anche con i possenti giri di accordi e riff delle chitarre di Tom Scholtz, Barry Godreau e dello stesso Delp), in cui l’unico fine è una fantomatica “pace nella mente”, che ad un’anima sensibile come Brad pareva adatta ma che, ad esempio, è l’opposto di quello dei monaci medievali che, partendo dall’isolamento,pregavano e lavoravano per il mondo.

Anche perchè, a ben pensarci, l’isolarsi descritto nel pezzo, a lungo andare si trasforma da arma con cui vuoi combattere il mondo ad arma che questo usa per sottometterti.

LA SOLA CHE AMO (DAVID GRAY)

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Sto chiudendo i miei occhi / e guardandoti partire / correre, cara, attraverso questa vita

come (su) un campo di neve / quando il rivelatore plana / in un grazioso arco.

Dì al tizio all’ingresso / e alle stelle là in alto / che tu sei colei che amo.

Una notte perfetta d’estate /non un filo di vento. / Solo le balle del fieno gongolano dolcemente tra le nuove foglie verdi.

Ci sono cose che forse avrei potuto dire / e spero solo di aver potuto.

Ora scappo, fuggo alla vita più velocemente / e il mio sangue scappa via.

Dì al tizio all’ingresso / e alle stelle là in alto / che tu sei colei che amo.

Colei che amo / colei che amo.

Io non voglio il Paradiso / nè l’inferno che brucia.

Voglio giusto le luci vive /nell’Hotel della baia.

La prossima volta entreremo / come un’onda d’oceano

e tu, cara, prenderai la mia mano / su questa vecchia pista da ballo.

Potremo ballare il TWIST / e fare il verso alle colombe.

E tu sei colei che amo” (Testo e musica di David Gray. Traduzione del gestore dello spazio).

Questo è il brano più famoso in Italia di David Gray, quarantaseienne e talentuoso cantautore di Manchester immeritatamente poco noto da noi.

Il cuore dell’uomo desidera che ciò che di bello e di vero uno vive sia eterno, non muoia mai. Questo è un desiderio profondamente umano, perciò cristiano. Una mancanza improvvisa (come la morte della fidanzata) non può che generare dolore, smarrimento, amarezza….e il desiderio di eterno è connaturato all’uomo, che vuole che quella fiammella, quel baluginio di compiutezza che c’è nei rapporti umani e nell’amore tra un uomo e una donna non finisca con la morte. Anche il desiderio ha i crismi dell’eternità. Un baluginio di eternità è evidente anche in questa mancanza, in questo vuoto. Vuoi qualcosa, aneli ardentemente ad averla, ma quando la afferri, la possiedi, ti accorgi che essa non ti basta mai, e toccando questo qualcosa vedi che questa non ti basta,non ti rende felice. Per cui, nella seconda parte del brano, assistiamo a una sorta di abbassamento del desiderio, all’augurarsi di una sorta di ritorno a quel che era prima….senza quell’anelito all’oltre che è costitutivo del desiderio. E la drammaticità, la bellezza drammatica della domanda è quasi svilita, leopardianamente svilita.

La Madonna nell’arte – prima parte

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Dal mio canale youtube, un umile tentativo (che sarà seguito da altre puntate) di dare un piccolo contributo ad un tema enorme. Foto scattate tra Firenze, Venezia, Colmar, Friburgo e Strasburgo.

In successione gli artisti, dall’inizio alla fine: Martin Schonghauer (Colmar, Unterlinden);  artista tedesco,piccola statua in legno di Maria piangente da Friburgo (1330 circa); Alessandro di Mariano Filipepi, detto il Botticelli (Strasbourg, musèe de beaux-arts); Lorenzo di Credi (idem); Taddeo Gaddi (idem); Jaan Proovost (idem); Donatello (id.); Maestro della madonna del giardinetto (Colmar, Unterlinden); ancora Botticelli, Donatello e Gaddi (stesse opere); Luca della Robbia (Firenze, chiesa della Misericordia); Maestro dei mesidi Ferrara, 1230 (Venezia, museo del seminario); Beato Angelico (Firenze, conento di San Marco); Donatello (Firenze, museo Bardini);

 

N.B. Le foto sono tutte mie, il canale (a cui vi esorto ad iscrivervi, TUTTO GRATIS) è mio e si chiama arsetcultura1. Ripeto: TUTTO GRATIS. Piero

AREA: LUGLIO – AGOSTO-SETTEMBRE (NERO)

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Giocare col mondo facendolo a pezzi
bambini che il sole ha ridotto già vecchi

Non è colpa mia se la tua realtà
mi costringe a fare guerra all’omertà.
Forse un dì sapremo quello che vuol dire
affogar nel sangue con l’umanità.

Gente colorata quasi tutta uguale
la mia rabbia legge sopra i quotidiani.
Legge nella storia tutto il mio dolore
canta la mia gente che non vuol morire.

Quando guardi il mondo senza aver problemi
cerca nelle cose l’essenzialità
Non è colpa mia se la tua realtà
mi costringe a fare GUERRA ALL’UMANITÀ.

Questo pezzo, emblematico di un’epoca in Italia (fu scritto nel 1970, e rispecchia le posizioni di certa parte antagonista della Sinistra di allora) fa capire come la rabbia verso il mondo, se non porta con sè la certezza che sia un Altro (del tutto diverso da noi) a determinare ogni secondo della mia esistenza, si riduce a ideologia e porta con sè una connaturata violenza di cui, in quegli anni, le cronache erano piene. La voce di Demetrio Stratos ci grida, con quel timbro inconfondibile, anch’essa una mancanza, un desiderio di bene per sè e per il mondo, cui un’intera generazione ha dato una risposta non all’altezza, rispondendo con l’ideologia a un’altra ideologia.

SCORPIONS: WE’LL BURN THE SKY / l’amore come anticamera di eternità

Rock

Tutto pare chiamare il tuo nome,

ieri tu camminavi

lasciando la vita in tutto il suo dolore.

Tutto chiede che tu torni ancora tra noi.

Tramite te, riscopro me stessa

e ho incontrato l’amore della mia vita.

Mi sono sempre sentita naturalmente elevata

e il mio amore aveva un luogo.

Ma ora la mia mente ha iniziato a vagare.

Tu sei il fuoco della mia vita

e devasti tutto il mio amore.

Tramite te, io ero così tanto ispirata.

Hai inciso una ferita nel profondo del mio cuore.

I miei sogni mi ricordano che noi eravamo una sola cosa.

Ti ho scelto per liberarmi.

(Ho scelto) la forza della vita che tu hai sempre dimostrato).

Mi sento triste da quando sei andata via,

tu eri il respiro della mia vita che mi rodeva.

Quando potrò ricongiungermi a te per essere liberà?

Spero che ciò possa essere un sogno, come una voce nella mia testa

che ti dice: lui ti appartiene.

“Non gridare, non hai bisogno di essere triste

c’è un modo per stare ancora uniti.

è più di quel che tu hai sempre avuto

e non vi è morte che ci possa dividere.

Il nostro amore eterno crescerà sempre

perchè tu sarai l’altra mia metà”.

Io so che noi non siamo mai stati separati.

e il tuo amore incendia la lama del mio cuore.

Noi bruceremo il cielo, quando sarà la mia ora di uscire.

Noi bruceremo il cielo, oh si (tre volte).

Quando sarà il tempo, noi bruceremo il cielo.

Monica Dannemann, ultima fidanzata di Jimi Hendrix, scrisse questo testo, ispirandosi alla sua storia d’amore molto coinvolgente con lui terminata tragicamente con la morte del chitarrista nel 1970 a Londra. E Uli Jon Rooth, all’epoca seconda chitarra degli Scorpions, la propose al gruppo, affidandone al cantante Klaus Meine il riadattamento nel testo e a Rudolf Shemker, suo compagno alla chitarra), la musica. Risolta poi con un suggestivo alternarsi di riff molto energici e arpeggi delicati, per mettere in risalto le parole. Il pezzo fu inserito nel 33 giri “Taken by force” (1977), in cui, dopo i consueti cambi di formazione, la band si stabilizzò al suo interno, con Klaus Meine alla voce e ai testi, Rudolf Schemker (autore di quasi tutte le musiche) alla chitarra, Francis Bucholz al basso ed Herman Rareball alla batteria. Alla seconda chitarra c’era proprio Uli (Ullrich) Jon Roth, sostituito nel 1979 da Matthias Jaabs.

Quando un legame ha anche un minimo di verità, esso, in qualche modo, presuppone e anticipa l’eternità. Ha anche soltanto un barlume, un soffio di essa. E, di conseguenza, fa nascere il desiderio, umanissimo, che tutto non si risolva con la separazione umanamente dolorosa della morte.

Questa è la grande domanda, la grande questione della canzone. Come può l’uomo amare la propria donna, e viceversa? Come può amarla REALMENTE, cioè con verità? Amando con la stessa verità il suo destino, guardando al suo destino. Ma (e qui compare, nel testo, un minimo di consapevolezza, seppur confusa) il destino non va forzato. Lo si legge nella risposta che Hendrix (mai citato, ma l’ispirazione a lui è chiara) dà alla donna: non ucciderti, come lei avrebbe voluto fare, ma lascia che il destino faccia il suo corso.

Certo, manca un tassello, il fatto che il Destino sia diventato un uomo, che camminava e parlava con tutti, e che poi ha scelto un modo ben preciso per continuare la Sua Presenza fino a toccare noi. Ma anche in questo brano c’è, tra le righe, quella domanda-chiave: se tutto, anche l’amore, è contingente, è transeunte, che senso ha vivere?  I grandi artisti ci testimoniano l’importanza della questione. Ma anche nella nostra vita di persone normali, se ce la poniamo sul serio, emerge una risposta: il senso non ce lo diamo noi, è l’azione quotidiana di un ALTRO che ce lo offre.  Ecco il senso del centuplo di paolina memoria. Noi dobbiamo solo guardare, con cuore, occhi e cervello, e non avremo altro che guadagnarne.

PIERO MASIA

KING CRIMSON: EPITAPH (1969)

Anni settanta, Blues, Canto gregoriano, Fede, Grunge, Pittura, Poesia, Rock, Santi, Scultura

Il muro su cui incisero i profeti il loro verbo
Ѐ crepato all’impuntura
Sopra gl’attrezzi della morte
Il chiaror del mattin balugina splendido

Quando un uomo è affranto
Con i suoi incubi ed i suoi sogni
Gli poserà qualcuno in capo la corona d’alloro
Mentre il silenzio annega le urla?

La confusione sarà il mio epitaffio
Quando arranco lungo un sentiero
scosceso e sterrato
Se lo imbocchiamo, possiam noi tutti
sederci alle sue spalle e canzonarlo
Ma ho timore che domani scoppierò in un pianto
Sì, ho timore che domani scoppierò in un pianto
Sì, ho timore che domani scoppierò in un pianto

Attraverso i ferrei cancelli del fato
Le semenze del tempo vennero disseminate
Ed irrigate dalle opere di coloro
Che comprendono e di coloro che son compresi

La conoscenza è una mortal compagna
Quando non v’è alcuno che istituisca leggi
Il destino dell’umana razza, io ben vedo,
Ѐ nelle mani degli sciocchi

Il muro su cui incisero i profeti il loro verbo
Ѐ crepato all’impuntura
Sopra gl’attrezzi della morte
La luce del mattino rifulge splendida

Quando un uomo è affranto
Con i suoi incubi ed i suoi sogni
qualcuno gli poserà in capo la corona d’alloro
Mentre il silenzio soffoca le urla?

La confusione sarà il mio epitaffio
Quando fatico lungo un sentiero
scosceso e sterrato
Se lo imbocchiamo, noi tutti possiamo
sederci alle sue spalle e canzonarlo
Ma temo che domani scoppierò in pianto
Sì, ho timore che domani scoppierò in pianto
Sì, ho timore che domani scoppierò in pianto
In pianto! In pianto!

Sì, temo che domani scoppierò in pianto
Sì, temo che domani scoppierò in pianto
Sì, temo che domani scoppierò in pianto!
In pianto!

La pretesa dell’uomo di “farsi da sè” non può che generare incertezza, danno, oscurità. Quella stessa oscurità che pervade tutto l’LP della band di Robert Fripp e Gregg Lake, il prio disco del genere Progressive. Un silenzio di tomba, generato da un’assenza che, a sua volta, genera solo dolore. Perchè, se manca una prospettiva buona, con il potere (quello che ha ucciso Cobain, che ha “costretto” tanti artisti degli anni settanta a commettere eccessi di ogni tipo per urlare al mondo “io ci sono”) che ci domina, allora l’uomo sensibile si porrà, di fronte alla confusione che il potere stesso alimenta e che, come si dice, sarà il suo epitaffio, la grande  domanda: Quando un uomo è affranto / Con i suoi incubi ed i suoi sogni / qualcuno gli poserà in capo la corona d’alloro / Mentre il silenzio soffoca le urla?”.

In fondo, è questa la domanda di senso, di compiutezza, che alberga nel cuore di ogni uomo. Ma a questa domanda l’uomo non dà una risposta da sè, non ne è capace. “Un imprevisto / è la sola speranza. Ma mi dicono che è una stoltezza dirselo” (Eugenio Montale, Prima del viaggio).

HAVE I TOLD YOU LATELY / VAN MORRISON – Prego Dio perchè la mia amata c’è.

Rock

Te l’ho detto di recente che ti amo
Ti ho detto che nessuno é piu importante di te
Tu riempi il mio cuore di dolcezza
Mi togli la trestezza
Mi porti via I problemi, ecco cosa fai

Oh, il sole del mattino in tutto il suo splendore
saluta il giorno dando speranza e benessere
Tu mi rendi felice
Tu puoi renderla migliore
Tu fai sparire I miei problemi, ecco cosa fai

E’magnifico dove c’é amore
é il tuo é il mio
come il sole alla fine del giorno
dobbiamo ringraziare e pregare Dio

Te l’ho detto di recente che ti amo
Ti ho detto che nessuno é piu importante di te
Tu riempi il mio cuore di dolcezza
Mi togli la trestezza
Mi porti via I problemi, ecco cosa fai
E’magnifico dove c’é amoreé il tuo é il mio
splende come il sole
alla fine del giorno diciamo grazie
e preghiamo Dio
Te l’ho detto di recente che ti amo
ti ho detto che nessuno é piu importante di te
Tu riempi il mio cuore di dolcezza
Mi togli la tristezza
Mi porti via I problemi, ecco cosa fai

porti via la mia tristezza
fai sentire la mia vita dolce
cancelli le mie preoccupazioni, ecco cosa fai

Fai sentire la mia vita dolce
porti via la mia tristezza
fai sparire le mie preoccupazioni, ecco cosa fai .

Dentro l’esperienza tutta umana dell’amore i problemi non sono “portati via”, ma sublimati e immessi in uno sguardo di verità che, quando non aiuta alla loro soluzione, pone sempre la persona in un atteggiamento tale di verità che l’unica cosa possibile e razionale da fare è ringraziare la persona amata e quel QUID, quel Mistero, che te l’ha fatta incontrare. Non a caso, l’autore di “Brown eyed girl” sublima con questo pezzo, tra le più suggestive canzoni d’ammore di tutti i tempi, quel percorso che lo condusse a mettere a nudo, già nei dischi precedenti a questo pezzo (siamo nel 1989), un forte senso religioso e un grande amore alla sua terra, l’Irlanda del Nord.

UMBERTO SABA: TRE MOMENTI (POESIA SUL CALCIO)

Poesia
BOSCHERVILLE

BOSCHERVILLE, NORMANDIA. CAMPO DA CALCIO DAVANTI ALL’ABBAZIA ROMANICA DI ST. GEORGE

 

Di corsa usciti a mezzo il campo, date

prima il saluto alle tribune.

Poi,quello che nasce poi,

che all’altra parte rivolgete, a quella

che più nera si accalca, non è cosa

da dirsi, non è cosa ch’abbia un nome.

 

Il portiere su e giù cammina come sentinella.

Il pericolo lontano è ancora.

Ma se in un nembo s’avvicina, oh allora

una giovane fiera si accovaccia

e all’erta spia.

 

Festa è nell’aria, festa in ogni via.

Se per poco, che importa?

Nessuna offesa varcava la porta,

s’incrociavano grida ch’eran razzi.

La vostra gloria, undici ragazzi,

come un fiume d’amore orna Trieste.

THE CAVE (MUMFORD & SONS): il dolore che apre all’Infinito

Folk, Folk, Indie Rock

E’ vuota la valle del tuo cuore
Il sole sorge lento mentre tu cammini
Lontano da tutte le paure
E tutte le colpe che ti sei lasciato alle spalle

Del raccolto non è rimasto cibo che tu possa mangiare
Tu, cannibale, carnivoro, vedi
Ma io ho visto la stessa cosa
Conosco la vergogna nella tua sconfitta

Ma io continuerò a sperare
E non ti lascerò soffocare
Col cappio intorno al collo

E troverò la forza nel dolore
E cambierò i miei metodi
Riconoscerò il mio nome quando verrà nuovamente chiamato

Perché ho altre cose per riempire il mio tempo
Tu prendi quello che è tuo, io prenderò quello che è mio
Adesso lasciami davanti alla verità
Che rinfrescherà la mia mente infranta

Perciò legami a un palo e tappami le orecchie
Riesco a vedere vedove e orfani attraverso le mie lacrime
Perciò conosco il richiamo nonostante le mie colpe
E nonostante i miei timori crescenti

Ma io continuerò a sperare
E non ti lascerò soffocare
Col cappio intorno al collo

E troverò la forza nel dolore
E cambierò i miei metodi
Riconoscerò il mio nome quando verrà nuovamente chiamato

Perciò esci dalla tua cava camminando sulle mani
E guarda il mondo stando a testa in giù
Puoi capire la dipendenza
Quando conosci la terra del creatore

Perciò fai il tuo richiamo da sirena
E canta tutto ciò che vuoi
Non ascolterò quello che hai da dire

Perché mi serve libertà ora
ho bisogno di sapere come
Vivere la mia vita come dovrebbe essere

Ma io continuerò a sperare
Ed io non ti lascerò soffocare
Col cappio intorno al collo

E troverò la forza nel dolore
E cambierò i miei metodi
Riconoscerò il mio nome quando verrà nuovamente chiamato

Il dolore di cui il testo di questa canzone è pervaso non isola, non chiude l’uomo che, sulla sua pelle, lo prova. Anzi, gli fa intraprendere un itinerario in fondo non dissimile da quello del medievale “homo viator”, che attraverso il dolore, immergendovisi con profondità e con passione, certo di un qualcosa di buono, vero e bello che passa tramite la realtà: la “terra del creatore”.

PIERO MASIA